La memoria è il diario che ciascuno di noi porta sempre con sé.
Oscar Wilde, scrittore e poeta
Quarantacinque miliardi di neuroni che stabiliscono almeno 100 trilioni di connessioni – tecnicamente definite sinapsi – caratterizzano il funzionamento del cervello dell’uomo. L’insieme complicato e sofisticato di cellule che compone la nostra centrale di comando, garantisce il mantenimento del nostro organismo e al contempo esprime una serie di funzioni superiori che ci pongono all’apice delle specie viventi.
Affascinati dalle straordinarie potenzialità di tale organo, studiosi e neuroscienziati hanno condotto ricerche e formulato ipotesi utilizzando approcci anche molto diversi fra di loro. Alla visione novecentesca, nella quale si sono succeduti un interesse di tipo anatomico-frenico, quindi di tipo genetico-funzionale oltranzista, si assiste oggi ad un fenomeno in parte incomprensibile. Più aumentano le conoscenze su tale organo sia sul piano anatomico che sulle modalità del suo funzionamento, più diminuiscono le certezze perché matura la consapevolezza che ciò che rende tale organo così raffinato e potente non è l’insieme delle cellule o delle reti neuronali, ma è la continua contaminazione tra i diversi tipi di funzioni, da quelle più elementari e concrete a quelle più intangibili, come il pensiero astratto.
Conferme indirette dell’errore dogmatico nella teorizzazione del funzionamento del cervello arrivano dalle storie individuali di pazienti che hanno subito traumi cronici in cui il cervello si comporta in modo non ortodosso, recuperando funzioni e abilità utilizzando aree inconsuete del cervello stesso, per cui l’obiettivo di qualificare tutte le connessioni del cervello risulta velleitario.
È pur vero che stiamo vivendo l’età d’oro delle neuroscienze perché siamo giunti ad “osservare i pensieri mentre rimbalzano come palline di ping-pong dentro un cervello vivo” (Micho Katu, fisico dell’Università di New York, autore del best seller “Il futuro della mente”) e addirittura si sta iniziando “a decifrare questi pensieri utilizzando potenti computer”.
Una interessante e recente ricerca sul tema dell’orientamento spaziale si è soffermata sul funzionamento dei neuroni e sul loro reticolo, nel cui ambito vengono elaborate e trasmesse le informazioni. Sulla rivista dell’Accademia delle scienze americane (Pnas), i ricercatori del RIKEN-MIT di Boston hanno pubblicato una straordinaria scoperta. Il cervello funziona come un navigatore satellitare, ha bisogno, per funzionare con precisione e affidabilità, di aggiornare costantemente le sue mappe[1]. A renderlo possibile è un circuito della memoria che aiuta a ricordare in modo specifico solo i posti nuovi che si conoscono, ed è cruciale per favorire la capacità di adattamento.
Ogni volta che si entra in una stanza il cervello viene bombardato da molte informazioni sensoriali. Se si tratta di un luogo queste sono già parte della memoria di lunga durata, mentre se si tratta di un luogo nuovo il cervello dovrà creare un nuovo ricordo.
“Abbiamo una notevole capacità di memorizzare determinate caratteristiche di un’esperienza in un posto completamente nuovo. Un’abilità che è cruciale per adattarsi al mondo che cambia costantemente“, commenta il premio Nobel Susumu Tonegawa, direttore del Centro per la genetica dei circuiti neurali de Riken-Mit. I ricercatori hanno ora capito come e dove ciò avviene: in una piccola area del cervello, chiamata locus coeruleus, che si attiva in risposta agli stimoli sensoriali nuovi, e comunica con un’altra area del cervello chiamata CA3, che si trova nell’ippocampo, mandandole un segnale con il rilascio di un ormone, la dopamina[2]. Rimane invece ancora da capire come il locus coeruleus riconosca un ambiente nuovo.
In questo modo si forma nell’ippocampo il ricordo del luogo nuovo.
Peraltro già anni prima, gli scienziati John O’Keefe, May-Britt e Edvard Moser, cui è stato assegnato il premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia nel 2014 avevano scoperto che le cellule del ”Gps” del cervello si trovano soprattutto nella parte inferiore dell’ippocampo, chiamata corteccia entorinale. Tutte insieme queste cellule costituiscono una sorta di griglia esagonale, all’interno della quale ognuna segue diversi schermi di orientamento, così da creare uno schema coordinato dell’orientamento spaziale.
[1] Si veda Locus coeruleus input to hippocampal CA3 drives single-trial learning of a novel context, in Pnas, 2017, consultabile sul sito http://www.pnas.org/content/115/2/E310.abstract.
[2] Ibidem.