È importante chiedersi se negli anni presenti, in cui sempre più si parla e si agisce nell’ottica della intelligenza artificiale, abbia ancora senso ragionare in termini di risorse umane e ancor più di innovazione nel campo delle risorse umane.
Il fondatore dell’Osservatorio hr innovation practise, il professore del Politecnico Mariano Corso, afferma con convinzione che il valore del capitale umano è imprescindibile e ci pone un valido motivo di riflessione tracciando un excursus che vogliamo riportare in sintesi per creare consapevolezza circa il valore della persona nella realtà civile e lavorativa.
Sin dalla fine degli anni Sessanta si è cominciato a parlare di risorse umane in quanto veniva gradualmente superata la visione del lavoratore come semplice bene strumentale per assegnargli dignità e valore come persona.
Il lavoratore dunque diveniva una preziosa risorsa nel veloce e imponente processo di industrializzazione ma anche con l’avvento del digitale risultava fondamentale in quanto portatore della necessaria cultura dell’innovazione.
Interrogati su quali fossero le più importanti molle per il progresso aziendale e del terziario, importanti manager hanno indicato:
- l’applicazione di nuovi modelli di organizzazione;
- lo sviluppo di cultura e competenze digitali;
- l’employer branding
ma soprattutto
- la capacità di attrarre i talenti, a dimostrazione che viene assegnato un valore determinante al ruolo che le risorse umane svolgono nel processo di qualificazione e di miglioramento del sistema produttivo e dei servizi.
Diviene fondamentale in tal ottica motivare, formare e coinvolgere le persone ma non è più proficuo adottare i modelli tradizionali, completamente stravolti con l’avvento del digitale. E’ necessario adottare sistemi più agili, più flessibili e come tali più propensi al cambiamento. Da un attento censimento si rileva che il 45% delle aziende ha come priorità assoluta proprio la riprogettazione del modello organizzativo per renderlo capace di incidere in modo coerente sulla struttura, sui processi, sulle competenze, sullo stile della leadership. In sintesi, è necessario incidere sul cambiamento della cultura aziendale per stare al passo con i veloci e profondi cambiamenti del sistema sociopolitico ed economico .
Due i modelli a confronto – quello cosiddetto TRADIZIONALE e quello definito AGILE, che mostrano le seguenti differenze strutturali:
ORGANIZZAZIONE TRADIZIONALE: è progettato per la stabilità, basato su strutture gerarchiche e concentra il potere decisionale nel top management con flussi comunicativi che vanno dall’alto al basso. La sua struttura, essendo rigida e lenta, si adatta malamente ai cambiamenti repentini.
ORGANIZZAZIONE AGILE: ne esistono con diverse peculiarità che sono accumunate nella capacità di riconfigurare velocemente struttura, processi, tecnologie e personale grazie all’assegnazione di ruoli flessibili e multidisciplinari. Per la strutturazione di tale modello è stato determinante l’avvento del digitale che ha portato a cambiamenti che nei paesi anglosassoni definiscono “distruptive”.
La rivoluzione digitale sgretola il paradigma dell’organizzazione come macchina strutturalmente composta di singoli elementi per introdurre una nuova ed inedita cultura che si compone e si destruttura al bisogno sulla base di obiettivi nel breve e lungo periodo.
Una rivoluzione culturale oltre che organizzativa che necessita della guida di un professionista esperto che aiuti le aziende clienti a cambiare la strategia, far sì che gli investimenti generino valore, mitigare i rischi e recuperare la governancea cura di un team interno appositamente preparato.