L’OFFLOADING COGNITIVO. LA DITTATURA DELLA TECNOLOGIA

I PERICOLI DELLA TECNOLOGIA 

L’uso pervasivo delle tecnologie nella nostra vita inquieta i ricercatori perché con essa scatta un inedito meccanismo nella nostra mente, chiamato “offloading che consiste in una sorta di delega all’esterno di compiti fondamentali come memoria, orientamento, attenzione.

Ci si chiede se  la possibilità di accesso istantaneo alle informazioni, alle immagini e poi le foto, il GPS, le banche dati ci rendano smemorati e sempre meno capaci di fare operazioni intelligenti.

E’ vero che da sempre la mente, che non può trattenere tutte le informazioni che acquisisce giornalmente, compie operazioni di selezione e, ove possibile, procede per intuizioni, ma le nuove tecnologie stanno provocando un salto di scala e di qualità che forse sta addirittura cambiando il nostro modo di pensare e di apprendere.

LA COGNIZIONE DISTRIBUITA

Gli strumenti tecnologici diventano una sorta di prolungamento diretto della nostra mente producendo una “cognizione distribuita” per cui le ricerche in atto considerano il processo di apprendimento non più come una funzione circoscritta al nostro cervello ma come una facoltà distribuita al resto del corpo e all’ambiente circostante, compresi i manufatti elettronici e non solo (anche il vecchio pallottoliere è una estensione cognitiva, anche se enormemente semplificata rispetto alle tecnologie che abbiamo oggi a disposizione).

 

Soprattutto se ne avvale  la memoria, che con i dispositivi digitali, può accumulare magazzini di informazioni senza limite che possono essere recuperate al bisogno. Viviamo quasi in simbiosi con il web e se questo fatto mostra evidenti criticità sul piano psicologico e sociale (che si polarizza  in situazioni estreme quali l’epidemia da Coronavirus che sta dilaniando il nostro Paese), è altrettanto vero che poter contare su strumenti così potenti ci consente di lavorare, di condividere, di mantenere relazioni sociali, anche se attraverso i social.

Gli studi in tale campo sono complessi e di conseguenza é difficile valutarne i risultati nel breve e nel lungo periodo: la mente estesa fa bene o fa male? Fotografare in modo quasi ossessivo migliora i ricordi o li fa precocemente appannare? E ancora, usare mezzi robotizzati nel campo delle professioni (in chirurgia, in fabbrica ) non rischia di allentare l’attenzione e ridurre le nostre capacità di affrontare e risolvere i problemi nel corso del processo produttivo?

C’è chi paventa  un circolo vizioso di fiducia e abilità che ci invita a sfruttare e scaricare sempre più all’esterno i compiti cognitivi; alcuni studi lamentano la progressiva perdita di concentrazione  conseguente all’abuso  delle tecnologie, fenomeno riscontrabile in particolare nei più giovani, i nativi digitali.

L’atteggiamento più responsabile dei ricercatori si riscontra su chi evita le espressioni polarizzate; fa bene, fa male, è giusto, è sbagliato sono giudizi che non tengono conto dell’elemento fondamentale che è la capacità critica dell’individuo. Lo strumento informatico o multimediale non è dannoso in sé, lo è l’abuso, l’utilizzo senza ragionamento.

LA RESILIENZA

Il problema vero, in ottica aziendale, ad esempio, è che tutto ciò comporta una drastica perdita di produttività e l’impossibilità di trovare nuove idee ai problemi che si vivono.

Viceversa, anche nell’attuale momento difficile, creatività, problem solving e resilienza sono le uniche armi a disposizione per cercare nuove soluzioni e reagire.

Lo slogan in questi tempi di Coronavirus in cui tutto o quasi si è azzerato è RESILIENZA TRASFORMATIVA. Diversamente dalla resistenza, che indica  la capacità di rimanere saldi  di fronte alle forze avverse, la resilienza presuppone qualità superiori quali elasticità  fantasia, capacità di riprogettare il futuro, insomma presuppone fondamentalmente un atteggiamento positivo capace di accettare la sfida.