SONNO E MEMORIA
L’idea che il sonno svolga un ruolo importante nell’efficienza mnemonica compare da tempo nella storia della psicologia del lavoro. La letteratura scientifica riporta costantemente, a proposito della perdita di memoria, che chi soffre d’insonnia mostra prestazioni inferiori rispetto a chi riposa a lungo e profondamente. Uno dei padri fondatori della neurologia, Hermann Ebbinghaus, dopo numerose ed approfondite ricerche, scoprì che esiste una evoluzione temporale dei ricordi che segue uno schema preciso: i ricordi svaniscono dapprima velocemente poi sempre più lentamente.
Sperimentando tale fenomeno su studenti e su se stesso, venne a scoprire che un fattore determinante era costituito dai ritmi del sonno.
Quarant’anni dopo la pubblicazione dei risultati di Ebbinghaus altri due ricercatori, John Jenkins e Karl Dallenbach della Cornell University, hanno ripreso l’idea del sonno come fattore rilevante nella conservazione dei ricordi. Una serie di ricerche molto approfondite ha portato a dedurre che, indipendentemente del tempo trascorso fra apprendimento e test di verifica, i risultati erano molto migliori dopo un buon sonno, dunque il sonno favorisce la fissazione dei ricordi.
La tesi dei due scienziati è stata replicata in numerose altre ricerche e in contesti diversi, riscontrando altre diversificazioni (in particolare fra memoria dichiarativa, quella relativa al “sapere” – ad esempio all’apprendimento di una lista di parole – e fra quella procedurale, o del “saper fare” come ad esempio nuotare o imparare ad andare in bicicletta) ma comunque confermano il ruolo di “fissatore” del sonno, anche se non dalle stesse fasi che il sonno attraversa.
FASI DEL SONNO
Durante la notte si alternano infatti due tipi di sonno: la fase REM (Rapid Eye Movement), ove le palpebre nascondono movimenti rapidi degli occhi e dunque una sorta di dormiveglia, e la fase NON REM in cui il cervello è lento e poco attivo. Tale diversificazione viene facilmente ripresa dall’elettroencefalogramma (EEG), che dimostra con precisione quali aree del cervello sono coinvolte nelle varie fasi del sonno.
Vari studi hanno dimostrato che il sonno lento (NON REM) è importante per il consolidamento dei ricordi episodici, mentre il sonno REM si rivela utile soprattutto negli apprendimenti procedurali e nei ricordi con implicazioni emotive.
Lo stretto legame esistente tra sonno e consolidamento dei ricordi fa pensare che un sonno insufficiente e disorganizzato può influire sulla memoria. Ma la privazione di sonno ha effetti più ampi. Il nostro organismo obbedisce a vari cicli cosiddetti “circadiani”: la temperatura corporea, l’attività di diversi ormoni, il bisogno di sonno fluttuano insieme ad altri parametri organici, nel corso del giorno e della notte.
L’esposizione quotidiana alla luce del sole fissa i ritmi circadiani nelle 24 ore.
IL LAVORO NOTTURNO
Il lavoro notturno sposta il sonno in momenti atipici, sfasa i ritmi circadiani ed è per questo che numerosi lavoratori notturni soffrono di insonnia diurna (quando dovrebbero recuperare) e di sonnolenza di notte, quando dovrebbero rimanere svegli.
Per tali motivi la mancanza di sonno conduce a scarse prestazioni e interferisce con l’attenzione e la memoria dei dati e delle informazioni necessari a svolgere il lavoro, situazione assai pericolosa specie per operatori in lavori particolarmente delicati (medici, addetti a catene di montaggio, controllori di volo e piloti ecc…).
Di fronte a tali gravi problematiche a un bravo manager, è richiesto di prestare particolare attenzione ai problemi connessi al lavoro notturno, in stretta collaborazione con il medico competente e con le altre figure coinvolte nella salute e sicurezza sul lavoro.
Per approfondire: L. Cohen, Lo smemorato insonne, in Mind, marzo 2018, pag. 82 e ss.