Pensare per immagini

 

 

Eric Kandel, premio Nobel per la Medicina nel 2000 per gli studi effettuati sulle basi fisiologiche della conservazione della memoria nei neuroni, sostiene che l’apprendimento è il modo in cui si acquisiscono nuove informazioni che riguardano il mondo circostante e la memoria è il modo attraverso cui si archiviano tali informazioni nel corso del tempo. Non esiste memoria senza apprendimento, ma esiste apprendimento senza memoria in quanto l’essere umano è in grado di assorbire informazioni e di dimenticarle immediatamente [si veda il volume di L. Squire, E. Kandel, Come funziona la memoria. Meccanismi molecolari e cognitivi, Bologna, 2010, passim].

Se è così, un punto cruciale diviene allora: quali sono i metodi più efficaci per trattenere i ricordi e, quindi, per evitare di dimenticarli immediatamente?

Gli esseri umani immagazzinano nella memoria molto poco di ciò che vedono, il resto lo immaginano quando si deve ricostruire la situazione vissuta. Trattengono solo i dettagli più forti, più incisivi, perché sarebbe troppo faticoso trattenere tutto nella loro mente e man mano che passa il tempo, sostituiscono la concettualizzazione al ricordo, estrapolando solo gli elementi più pregnanti (si calcola approssimativamente che un soggetto scarti circa il 75% delle informazioni).

La memoria è, quindi, una delle funzioni più importanti del cervello; l’enorme quantità di informazioni che vengono trattenute e incamerate permettono di riconoscere persone, oggetti, cibi, permette di andare in bicicletta, di nuotare, di leggere un testo e molto, molto di più.

Purtroppo i metodi più comuni per memorizzare le informazioni sono speso basati su mere ripetizioni meccaniche, e quindi scarsamente efficaci.

Le più recenti tecniche si basano invece sulla tesi, comprovata dalla scienza, che il cervello ricorda meglio le immagini rispetto a ogni altro stimolo. In media l’80% delle informazioni contenute nella memoria sono di tipo visivo, il resto è equamente distribuito fra i restanti input sensoriali: udito, tatto, gusto, olfatto.

Gli scienziati sono orami concordi nel ritenere che il cervello utilizzi moltissimo le associazioni, collegando le informazioni ricevute: quando si vede una mela si è subito consapevoli di che cosa si tratti e la sua vista conduce ad altre associazioni in una percezione cosciente (che il frutto potrebbe soddisfare la fame, Adamo ed Eva, gli alberi, la campagna….).

Oggi si stanno sempre più valorizzando le immagini quale strumento per rinforzare la memoria; le immagini infatti creano risposte neurofisiologiche e per questo adatte alla memorizzazione. Inoltre è certo che le immagini si collocano nella memoria a lungo termine, la più viva e profonda. Ma quale metodologia bisogna adottare per sedimentare e trattenere gli elementi grafici ed iconici? Esistono tecniche che possono contribuire a fissare le immagini e cioè renderle maggiormente memorizzabili quali:

  • Stimolare il coinvolgimento emotivo
  • Produrre originalità nelle associazioni
  • Creare il movimento
  • Effetto esagerazione

Dove vengono conservati i nostri ricordi?
Il tema è molto ampio e merita ulteriori approfondimenti, ma nel presente contesto ci si limita ad osservare che nel cervello esistono due magazzini: uno di transito, nell’ippocampo e uno definitivo, nella corteccia. Uno studio pubblicato di recente su “Science” dimostra per la prima volta che le memorie si formano contemporaneamente nelle due strutture, e ciò va a contraddire la tesi per cui nella nostra mente si realizza un trasferimento graduale dei ricordi, spiega Takashi Kitamura. ricercatore del MIT e primo autore dello studio intitolato “Engrams and circuits crucial for systems consolidation of a memory”. Dopo lunghi anni di indagini gli scienziati giungono ad affermare che le cellule della corteccia verosimilmente conservano i contorni sfumati dei ricordi mentre i neuroni dell’ippocampo potrebbero consentire alle persone di rievocarne i dettagli a distanza di molto tempo. Tipico negli anziani avere il ricordo vivissimo dei loro primi anni di vita e non ricordare affatto gli accadimenti più recenti.