I FRENI ALLO SMART WORKING
E’ da tempo che, con la profonda trasformazione strutturale del lavoro, sempre più tecnologico e globalizzato, sono state introdotte in via sperimentale forme di lavoro agile. Ciò è stato possibile perché dall’approccio meramente prestazionale si è passati lentamente ma gradualmente al lavoro impostato sempre più per obiettivi e risultati.
Pur tuttavia nel nostro Paese vi sono ancora molte rigidità rispetto a questa svolta che supera il concetto dell’orario fisso, del cartellino, della produttività misurata più sul tempo – lavoro che sulla capacità di centrare gli obiettivi di qualificazione di prodotti e servizi. È un fatto culturale ed è determinato da un innegabile ritardo col quale l’Italia ha recepito la digitalizzazione, in primis nella scuola e nella pubblica amministrazione.
In questo senso, l’inserimento dello smart working in situazione di emergenza, quale l’avvento del Coronavirus, è utile per cercare di tenere in vita un poco della nostra economia ma rischia- se non guidato e sostenuto dalle autorità governative e dal sindacato – di essere un fenomeno estemporaneo e non un regime di lavoro sistematico, ragionato e valorizzato.
Il telelavoro, certo solo per alcune categorie, permette di lavorare a distanza e quindi di modificare, spesso con ampi benefici, la rigidità fra lavoro e vita privata tipica del lavoro tradizionale ma la sfida è molto ampia e profonda sia per i datori di lavoro che per i comparti sindacali perché le problematiche da regolamentare sono moltissime e oltremodo complesse.
La discrezionalità inerente la conciliazione fra tempo di vita e tempo di lavoro viene sottratta al datore di lavoro per avvicinarsi al diretto controllo del lavoratore o della lavoratrice, ma tropo spesso questi vengono lasciati soli nell’organizzazione che al contrario andrebbe impostata e accompagnata da specialisti affinchè siano definiti modalità ma anche i confini del telelavoro.
Spesso per semplificare si tende a confondere o a sostituire il concetto di telelavoro con quello di smart working , traducibile in italiano on l’espressione “lavoro agile” ma in realtà i due approcci, che pure utilizzano prevalentemente gli strumenti informatici, differiscono molto l’uno dall’altro, non solo sul piano teorico ma anche nella prassi.
Mentre il telelavoro presuppone che il dipendente abbia una postazione fissa, prevalentemente nella propria abitazione e vincola alle medesime prestazioni esercitate in azienda, lo smart working implica la ridefinizione in modo flessibile delle modalità di lavoro in termini di luogo e di orario. Il luogo generalmente può essere esterno all’abitazione perché presuppone l’incontro facilitato con clienti e fornitori.
Se ben applicate, ambedue le modalità possono essere molto vantaggiose per l’azienda, anche in termini di riduzioni di spese dirette (utenze, costi per gli spazi dedicati…..) e, naturalmente, per il dipendente che contiene le spese di vitto e trasporto ma, lo ripetiamo, l’Italia non possiede un modello consolidato e applicabile su larga sala.
Inoltre, il digitale va a rilento e l’infrastruttura, cioè la rete ove corrono le connessioni, non è distribuita in modo omogeneo in tutto il Paese. L’Italia si trova ancora al ventiquattresimo posto sui ventotto Paesi europei (dati della Commissione Europea) per diffusione della banda larga.
Il coronavirus e lo smart working forzato: criticità e apertura al futuro
In Italia la velocissima diffusione del Coronavirus ha portato, come immediata conseguenza, la espansione esponenziale dello smart working e del telelavoro.
Nell’ambito delle misure adottate dal Governo per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVIT-19, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha emanato il 1° marzo 2020 un decreto che interviene sulle modalità operative di accesso allo smart working. Come stabilito dal DPCM dell’11 marzo 2020, viene raccomandato il massimo utilizzo da parte delle imprese del lavoro agile con facoltà di accedervi con procedure semplificate e digitalizzate, superando alcune rigidità contenute nella precedente normativa.
Si tratta di un fenomeno ormai inarrestabile che, se ben gestito, potrebbe accelerare l’adozione di queste modalità da tempo previste (legge n.81/2017) e mai sistematicamente applicate per motivi organizzativi e culturali. Tutti i recentissimi provvedimenti del Governo vanno in questa direzione sollecitandone l’introduzione e l’estensione sia nella Pubblica Amministrazione – compresa la scuola e l’Università – sia nelle imprese private. Una prospettiva che, secondo la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, potrebbe riguardare in Italia circa 8,3 milioni di persone.
E’ in atto una grande spinta: la semplificazione delle procedure attivata per Decreto sta comportando un aumento esponenziale dei lavoratori cosiddetti “agili” che si attestava a soli 570.000 lavoratori prima dell’avvento del Coronavirus, pari al 2% dei dipendenti contro il 20,2% del Regno Unito, il 16,6% della Francia e l’8,6% della Germania.
Poi è esplosa la pandemia e in due settimane, ci comunica il Ministero del Lavoro, sono già passati a oltre 2,5 milioni i lavoratori che operano in smart working, in un flusso partito proprio da Milano che costituisce una delle zone più colpite d’Italia ma che anche il più grande polo di servizi di terziario avanzato del nostro Paese.
I maggiori operatori della telefonia segnalano che il traffico telefonico sulle linee fisse aumenta di giorno in giorno, con picchi del 50% in più.
Dunque si tratta del più grande esperimento di lavoro a distanza mai attuato in Italia.
Le imprese, soprattutto quelle piccole e meno strutturate, temevano che il lavoro agile abbassasse la produttività ma la sua adozione forzata potrebbe far scoprire tutti i lati positivi dello smart working, compreso quello – inaspettato – del mantenimento o addirittura della crescita del tasso di redditività.
Chi regge meglio sono le grandi imprese, che si erano organizzate da tempo, ad iniziare dalla Siemens che applica il lavoro agile dal 2011 e a seguire le società di telecomunicazione, le grandi banche, le assicurazioni, le utility e anche le fabbriche più avanzate per le quali i macchinari possono essere programmati e gestiti a distanza. Anche alcune Regioni, in primis l’Emilia Romagna e la Liguria hanno adottato tale sistema in via sperimentale ma nella Pubblica Amministrazione restava il vincolo contrattuale di poter usufruire dello smart working non più del 10% dei dipendenti. Tutti gli esperti del settore sono ormai convinti che, conclusa la fase critica del contagio e ripresa la generale attività lavorativa – il numero degli addetti si attesterà su una cifra molto più alta di quella precedente all’emergenza.
Certo, il valore dei rapporti, sia dal punto di vista professionale che dal punto di vista umano è e sarà sempre insostituibile e forse molti dipendenti chiederanno di poter rientrare in azienda, malgrado il disagio degli spostamenti da casa.
UNA RIVOLUZIONE ANCHE DI PROCESSI?
Il CEO di Fastweb, Alberto Calcagno, afferma che la diffusione del coronavirus ha aperto una fase di grande responsabilità sociale per le aziende e in essa la Rete ha svolto una funzione molto importante non solo per le connessioni ma perché ha consentito di proseguire la vita di tutti i giorni (studiare, lavorare, fare la spesa, informarsi….) anche se con modalità diverse. Ma una vera rivoluzione digitale nel lavoro agile è possibile solo semplificando i processi, responsabilizzando gli attori e i fruitori, delegando le decisioni e fornendo gli strumenti necessari e per questo servono cultura, investimenti, coraggio, possibilità di lavorare in sicurezza.
UNA RIVOLUZIONE DI MOTIVAZIONE DEL PERSONALE?
In alcuni ambiti il gap culturale e prestazionale dovuto ai limiti della libertà personale imposti dal coronavirus è stato straordinario: si pensi alla scuola ove gli studenti sono tecnologicamente molto più preparati dei loro insegnanti, specie nella fascia dell’obbligo. La necessità dell’e-learning ha accelerato il processo di formazione digitale nei docenti in una situazione di sperimentazione attiva, molto più efficace di corsi di formazione teorici.
Perciò il personale deve essere adeguatamente formato, saper lavorare per obbiettivi chiari e potenziare gli strumenti di delega.
IN SINTESI QUALI I VANTAGGI CONCRETI DELLO SMART WORKING?
Se pensiamo che nel lavoro agile si viene valutati non sul monte ore lavorato ma sul raggiungimento dei risultati , allora esso è altamente meritocratico.
Se ben applicato ci guadagna l’ambiente perché sollevato dall’inquinamento dovuto agli spostamenti, ci guadagna il dipendente che viene retribuito in base alla produttività, ci guadagna l’azienda che riduce gli spazi abbattendo i costi di gestione e può confrontarsi con le sfide globali dell’innovazione.
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